GRAN TORINO - Clint Eastwood
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GRAN TORINO - Clint Eastwood
Sono andato a vederlo GRAN FILM - VOTO 8
come gli 8 euro spesi bene
“Non c’è nulla di sbagliato nell’America che non possa essere curato da ciò che c’è di giusto nell’ America”. Queste famose parole dell’ex presidente Usa Bill Clinton sono la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver visto Gran Torino. Tra i pregi dell’ultimo film di Clint Eastwood c’è infatti quello di riuscire a mostrare le due facce opposte di un grande Paese come gli Stati Uniti, per di più condensandole all’interno di un unico personaggio.
Walt Kowalski è un uomo in età avanzata che ha passato una vita in catena di montaggio alla Ford e vive da decenni nella stessa abitazione in un quartiere periferico di Detroit (la stessa città che oggi è in ginocchio per la crisi dell’automobile). Reduce della guerra di Corea, Kowalski non nasconde la sua ostilità e il suo atteggiamento razzista verso gli immigrati Hmong (un’etnia originaria dell’Asia sudorientale) che stanno invadendo il suo quartiere, trasferendosi nelle case appartenute un tempo ai suoi amici.
Kowalski è un burbero indurito dalla vita e tormentato dall’incubo della guerra e delle atrocità alle quali è stato costretto. Ha con i due figli e le rispettive famiglie un rapporto quasi da estraneo, e gli unici beneficiari del suo affetto e della sua devozione sono la sua cagna Daisy e la sua Ford Gran Torino, che cura e coccola come una moglie (quella vera è morta).
Ma un poco alla volta, a rompere il muro di durezza che quest’uomo ha eretto attorno a sé saranno il giovane Thao e la sorella Sue Vang Lor, trasferitisi con la loro famiglia Hmong nella casa accanto a quella di Walt. E quando i due adolescenti finiscono nel mirino di una gang asiatica della zona, il veterano Kowalski è costretto a imbracciare di nuovo il fucile per difendere coloro ai quali tiene di più.
Come sottolineato da molti, Gran Torino è un film sulla redenzione. Di un Paese, ancor prima che di una persona. In questo senso, la pellicola è una perfetta metafora dell’America di Obama, che dopo gli 8 terribili anni dell’era Bush si è riscattata buttando finalmente all’aria oltre due secoli di pregiudizi razziali e guardando in faccia al futuro.
come gli 8 euro spesi bene
“Non c’è nulla di sbagliato nell’America che non possa essere curato da ciò che c’è di giusto nell’ America”. Queste famose parole dell’ex presidente Usa Bill Clinton sono la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver visto Gran Torino. Tra i pregi dell’ultimo film di Clint Eastwood c’è infatti quello di riuscire a mostrare le due facce opposte di un grande Paese come gli Stati Uniti, per di più condensandole all’interno di un unico personaggio.
Walt Kowalski è un uomo in età avanzata che ha passato una vita in catena di montaggio alla Ford e vive da decenni nella stessa abitazione in un quartiere periferico di Detroit (la stessa città che oggi è in ginocchio per la crisi dell’automobile). Reduce della guerra di Corea, Kowalski non nasconde la sua ostilità e il suo atteggiamento razzista verso gli immigrati Hmong (un’etnia originaria dell’Asia sudorientale) che stanno invadendo il suo quartiere, trasferendosi nelle case appartenute un tempo ai suoi amici.
Kowalski è un burbero indurito dalla vita e tormentato dall’incubo della guerra e delle atrocità alle quali è stato costretto. Ha con i due figli e le rispettive famiglie un rapporto quasi da estraneo, e gli unici beneficiari del suo affetto e della sua devozione sono la sua cagna Daisy e la sua Ford Gran Torino, che cura e coccola come una moglie (quella vera è morta).
Ma un poco alla volta, a rompere il muro di durezza che quest’uomo ha eretto attorno a sé saranno il giovane Thao e la sorella Sue Vang Lor, trasferitisi con la loro famiglia Hmong nella casa accanto a quella di Walt. E quando i due adolescenti finiscono nel mirino di una gang asiatica della zona, il veterano Kowalski è costretto a imbracciare di nuovo il fucile per difendere coloro ai quali tiene di più.
Come sottolineato da molti, Gran Torino è un film sulla redenzione. Di un Paese, ancor prima che di una persona. In questo senso, la pellicola è una perfetta metafora dell’America di Obama, che dopo gli 8 terribili anni dell’era Bush si è riscattata buttando finalmente all’aria oltre due secoli di pregiudizi razziali e guardando in faccia al futuro.
Coimbrino- barman
- Numero di messaggi : 1479
Età : 45
Data d'iscrizione : 20.09.07
Re: GRAN TORINO - Clint Eastwood
Ne parlano tutti benissimo di questo film...dovrò andare a vederlo anch'io..
Sulla redenzione dell'America...aspetterei, grazie a un delinquente com Bush si sono ridotti sul lastrico, pur di continuare la loro politica del terrore
Una prima redenzione, e Obama sembra sia su questa strada, sarebbe già positiva se terminasse l'embargo a Cuba (persino sui medicinali!!!), il dialogo con l'Iran (sembra già iniziato) e il ritiro dall'Iraq dopo sei anni(!!!) di farsa!
E per finire vi consiglio, la domenica sera, la trasmissione 'Rebus' su Canale 10
Sulla redenzione dell'America...aspetterei, grazie a un delinquente com Bush si sono ridotti sul lastrico, pur di continuare la loro politica del terrore
Una prima redenzione, e Obama sembra sia su questa strada, sarebbe già positiva se terminasse l'embargo a Cuba (persino sui medicinali!!!), il dialogo con l'Iran (sembra già iniziato) e il ritiro dall'Iraq dopo sei anni(!!!) di farsa!
E per finire vi consiglio, la domenica sera, la trasmissione 'Rebus' su Canale 10
PACIOUK70- Sfasciato
- Numero di messaggi : 1164
Età : 54
Data d'iscrizione : 01.09.08
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